Network analysis e investimenti diretti esteri: strumenti per l’analisi delle reti di controllo

L’approfondimento introduce i presupposti teorici e un quadro metodologico basato sull’analisi delle reti proprietarie, volto alla comprensione delle dinamiche di influenza societaria e al supporto tecnico-informativo alle attività di valutazione del decisore pubblico

di Andrea Pannone, Ricercatore FUB

Il presente approfondimento si colloca all’interno delle attività di ricerca condotte dalla Fondazione Ugo Bordoni nel 2025 relative alle metodologie per la valutazione degli investimenti esteri, nell’ambito della convenzione a supporto della Segreteria tecnica del Comitato interministeriale di Attrazione degli Investimenti Esteri (ST-CAIE) e dell’Unità di missione attrazione e sblocco degli investimenti (UMASI) del Ministero delle Imprese e del Made in Italy.

 

L’obiettivo generale dell’attività risiede nello studio e nella delineazione di scenari strategici per l’impiego di metodologie avanzate di analisi dei dati e Intelligenza Artificiale, finalizzate alla valutazione degli Investimenti Diretti Esteri (IDE o FDI) nel contesto economico italiano.

 

Sotto il profilo metodologico, la ricerca ha prodotto un avanzamento significativo nell’utilizzo della network control analysis quale strumento per quantificare la distribuzione del controllo all’interno delle reti proprietarie e valutarne la resilienza. Di tale percorso scientifico, il presente approfondimento intende delineare i presupposti teorici, le evidenze principali e le prospettive di applicazione operativa.

 

Dagli investimenti diretti esteri al monitoraggio dell’autonomia strategica nazionale

L’internazionalizzazione produttiva ha rappresentato uno degli elementi centrali del processo di globalizzazione dell’economia mondiale. La visione tradizionale, ampiamente diffusa tra le istituzioni internazionali (FMI, Banca Mondiale, OCSE), si è focalizzata principalmente sui vantaggi derivanti dallo scambio intertemporale tra nazioni e dagli investimenti diretti esteri. Gli IDE sono definiti come investimenti effettuati da un’entità residente in un paese in un’entità residente in un altro paese, con l’obiettivo di acquisire un controllo durevole e significativo sulla gestione dell’impresa target. A differenza degli investimenti di portafoglio, che si limitano al trasferimento di risorse finanziarie per finalità speculative o di diversificazione, gli IDE implicano un controllo operativo e strategico sulla società acquisita, determinando pertanto una relazione di lungo periodo tra l’investitore e l’impresa target.

 

Una prospettiva più moderna, che riflette i profondi cambiamenti del contesto geopolitico globale degli ultimi decenni, evidenzia tuttavia come l’acquisizione estera di capitale possa costituire un fattore di potenziale instabilità per le economie nazionali. Il trasferimento di asset proprietari da gruppi economici nazionali a soggetti esteri, in particolare nei settori di rilevanza strategica (difesa, energia, telecomunicazioni e infrastrutture critiche), può determinare criticità sul piano economico e politico. Nel contesto dell’attuale frammentazione geopolitica tra blocchi concorrenti, tali dinamiche rischiano di incidere sulla stabilità sistemica e sulla sicurezza degli approvvigionamenti di un paese. L’estrema complessità di molte delle strutture societarie transnazionali amplifica la rilevanza di questi rischi, richiedendo un monitoraggio costante dell’autonomia strategica nazionale, finalizzato a orientare l’attrazione degli IDE verso modelli di sviluppo virtuosi e pienamente compatibili con i traguardi di crescita equilibrata e stabilità del sistema economico nazionale.

 

IDE e assetti proprietari: greenfield, M&A e rilevanza strategica dell’identità dell’investitore

A partire dagli anni ’90, la maggior parte degli IDE verso i paesi occidentali si è realizzata attraverso operazioni di fusioni e acquisizioni transfrontaliere (Mergers and Acquisitions, M&A) piuttosto che mediante investimenti greenfield (costruzione ex novo di impianti produttivi). Le operazioni M&A comportano il trasferimento della proprietà di asset già esistenti a soggetti stranieri, determinando di conseguenza una redistribuzione del controllo societario su scala internazionale. L’espansione dei mercati finanziari globali ha facilitato l’accesso a diverse forme di finanziamento (prestiti bancari, emissioni azionarie, private equity, venture capital, leasing e factoring), rendendo più agevole il finanziamento delle operazioni M&A rispetto agli investimenti greenfield.

 

Negli investimenti greenfield, l’afflusso di capitale è accompagnato da un effettivo trasferimento di risorse tangibili (impianti, macchinari, infrastrutture) e dall’ingresso di competenze tecnologiche e manageriali.

 

Negli investimenti M&A, invece, il flusso di capitale si configura prevalentemente come una transazione finanziaria che altera l’assetto proprietario e il controllo strategico dell’impresa acquisita, senza un corrispondente trasferimento di risorse fisiche. Le implicazioni geopolitiche di questa dinamica sono rilevanti:

 

  • l’aumento del volume di attività di proprietà straniera rispetto a quelle nazionali può condurre a una transnazionalizzazione della proprietà
  • la difficoltà di ricondurre la proprietà effettiva al paese di origine degli investitori, a causa della complessità delle strutture di controllo e della diffusione di entità off-shore, ostacola l’analisi dell’impatto economico e politico degli IDE
  • l’ingresso di investitori stranieri in settori strategici può alterare gli assetti di potere interni e internazionali, con il rischio di generare squilibri economici e geopolitici

 

Un aspetto centrale riguarda l’identificazione dell’identità dell’investitore e della natura del capitale coinvolto. La proprietà del capitale nelle operazioni di M&A è spesso riconducibile a investitori istituzionali, fondi sovrani o conglomerati multinazionali, la cui nazionalità formale non corrisponde necessariamente al centro decisionale effettivo. Si riportano di seguito degli esempi:

 

  • fondi sovrani cinesi hanno acquisito partecipazioni rilevanti in settori strategici occidentali attraverso operazioni condotte tramite entità finanziarie off-shore
  • fondazioni e holding europee controllano asset globali attraverso strutture complesse che coinvolgono più giurisdizioni
  • fondi di private equity e hedge fund statunitensi operano attraverso veicoli societari localizzati in paradisi fiscali

Network analysis e metriche per la valutazione del potere delle imprese transnazionali

La crescente presenza di investitori provenienti da economie emergenti (Cina, Russia, Brasile, Corea, India) nei mercati finanziari occidentali ha ulteriormente rafforzato questa dinamica. Più precisamente, va osservato che il luogo di quotazione di un’azienda non fornisce alcuna informazione trasparente sulla nazionalità degli azionisti di riferimento, sulla localizzazione effettiva dell’origine delle operazioni e sulle reali finalità dell’investitore (produttiva, finanziaria, fiscale, illegale, regime sanzionatorio, eccetera), tenuto conto del core business della sua attività. Di conseguenza, l’identificazione della proprietà effettiva di un’impresa e del potere economico ad essa collegato richiede un’analisi approfondita delle reti di partecipazione societaria e delle relazioni di controllo. La tabella seguente illustra l’evoluzione del paradigma del controllo societario dal XX secolo a oggi.

 

Controllo e capitalizzazione: dal possesso diretto all’influenza in rete

 

Tale mutamento sta evidenziando una crescente centralizzazione dei capitali che, tuttavia, non si manifesta più esclusivamente tramite la proprietà di maggioranza, ma si cela nelle complesse strutture di rete tra azionisti ultimi e società target (Brancaccio E., Giammetti R., Lopreite M. e Puliga M. (2018), Mizuno et al. (2020), (2023)).

 

Inoltre, l’opacità dei flussi di capitale e la struttura transnazionale della proprietà pongono il problema della distinzione tra intento produttivo e intento finanziario degli IDE. Secondo le stime più recenti, circa un terzo degli asset globali è attualmente di proprietà di soggetti stranieri, ma tale quota potrebbe essere sottostimata a causa della diffusione di meccanismi di elusione fiscale, riciclaggio di denaro e triangolazioni societarie.

 

In conclusione, l’identificazione del reale beneficiario di un IDE, la proprietà effettiva di un’impresa, e il reale potere economico a essa collegato, richiede innanzitutto un metodo in grado di analizzare in profondità le reti di partecipazione societaria e le relazioni di controllo, dirette e indirette, delle imprese che hanno effettuato investimenti diretti esteri in un dato territorio. A questo fine è utile ricorrere alle moderne tecniche di analisi di rete (network analysis), strumenti potenti per analizzare la proprietà azionaria e comprendere la struttura del comando all’interno delle aziende (vedi Vitali et al. (2011), Brancaccio et al. (2018), per una disamina e alcune applicazioni in questo campo). Nello specifico, queste tecniche consentono di visualizzare le connessioni tra gli azionisti e le società, identificando chi detiene posizioni di influenza e controllo, soprattutto attraverso partecipazioni incrociate e holding. L’analisi di rete può infatti evidenziare:

 

  1. nodi centrali (azionisti o gruppi di controllo) che possiedono un’influenza significativa su più società
  2. percorsi di controllo indiretto, dove una società o individuo può influenzare un’altra azienda tramite partecipazioni intermediarie
  3. grado di centralizzazione del controllo, misurando quanto il potere sia concentrato nelle mani di pochi attori

 

In quest’ambito, grazie alle sue competenze nel campo dell’analisi di rete, la Fondazione Ugo Bordoni può fornire il proprio contributo per il miglioramento e l’adattamento degli algoritmi per l’analisi delle strutture di proprietà delle imprese che investono nel nostro Paese, supportando il decisore pubblico con degli strumenti concreti capaci di restituire un quadro informativo completo per la valutazione di progetti riguardanti gli investimenti dall’estero.

 

Possibili applicazioni all’analisi degli IDE: indicatori di controllo e influenza nelle strutture proprietarie complesse

Una volta strutturata l’analisi, è necessario individuare algoritmi efficaci per misurare l’influenza esercitata dalle società quotate, come per esempio i principali fondi patrimoniali, sulla rete proprietaria globale sottostante all’impresa che ha effettuato un IDE. La finalità è quella di comprendere quanto un soggetto riesca a esercitare potere o controllo di un’impresa target attraverso il possesso (anche minoritario) di quote azionarie. Nella maggior parte degli studi presenti in letteratura, invece, si misura il potere dei proprietari finali di controllare le aziende. Ma i gestori patrimoniali, per esempio, non sono i proprietari finali, bensì azionisti intermedi che sono anch’essi di proprietà dei loro proprietari finali. Inoltre – come ormai ampiamente riconosciuto nella letteratura economica – alcuni dei grandi gestori patrimoniali sono società a partecipazione diffusa, la cui proprietà è spesso suddivisa tra numerosi azionisti meno influenti. Eppure, essi esercitano un’influenza sostanziale. Come si raccoglie il potere di controllo societario? Un indicatore efficace deve considerare il controllo indiretto derivante dalla dispersione proprietaria nelle reti globali. Mizuno et al. (2023) hanno introdotto il Network Power Flow (NPF), un indice che quantifica l’influenza degli azionisti, sia finali che intermedi, mappando il flusso di controllo attraverso un algoritmo di campionamento casuale con 20 mila iterazioni su dati del database Orbis Van Dick del 2020. L’NPF identifica i canali attraverso cui il potere si propaga in strutture complesse, come le proprietà incrociate, integrando l’Indice Herfindahl-Hirschman (HHI) per valutare la concentrazione del controllo. L’NPF consente di osservare la distribuzione del potere tra gli azionisti, evidenziando il ruolo cruciale degli intermediari. I primi risultati che si derivano dall’applicazione di questi indici permettono di ipotizzare che, nelle reti di imprese sottostanti agli IDE verso un’impresa target, la centralizzazione del capitale aumenta, ma non è più visibile solo attraverso la proprietà di maggioranza. Essa in realtà è nascosta nelle strutture di rete che collegano azionisti ultimi e le stesse società target.

 

Pur con limitazioni legate a dati storici e ad alcune assunzioni restrittive, questo indice offre una visione innovativa della governance aziendale nelle reti globali e potrebbe diventare un elemento importante di un programma di ricerca volto a ricostruire rigorosamente le mappe del controllo delle imprese a livello internazionale, per comprendere realmente quali siano gli agenti delle operazioni di investimento diretto estero.

 

Future direzioni di ricerca e ruolo FUB

L’analisi condotta mette in luce come l’evoluzione della governance contemporanea sia caratterizzata da una marcata dissociazione tra proprietà formale e controllo effettivo. In settori di rilevanza sistemica, tale dinamica può generare asimmetrie informative e vulnerabilità nelle strutture di comando delle imprese nazionali, talvolta riconducibili a investitori esteri con quote azionarie minoritarie ma strategicamente rilevanti.

 

In questa prospettiva, l’approccio metodologico proposto intende fornire ai decisori pubblici strumenti di net control evoluti. Tali strumenti potrebbero risultare determinanti non solo per la diagnosi del fenomeno, ma anche per garantire una vigilanza proporzionale e tempestiva, capace di salvaguardare la stabilità e l’autonomia decisionale del Paese di fronte a modalità di controllo stratificate e non sempre facilmente leggibili.

 

Le sfide e le criticità emerse delineano un perimetro d’azione in cui la Fondazione Ugo Bordoni – grazie alla sua missione istituzionale e alle competenze multidisciplinari nell’analisi dei sistemi complessi – può fornire un contributo determinante. L’obiettivo è trasformare queste sfide in opportunità, sviluppando soluzioni metodologiche e tecnologiche capaci di supportare la Pubblica Amministrazione nel monitoraggio e nella tutela degli asset strategici del nostro Paese, avvalendosi anche delle expertise interne nel campo dell’analisi evoluta dei dati e sperimentando soluzioni avanzate.